Il nuovo DPCM per la Fase 2 offre segnali di riapertura al settore della ristorazione

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settore della ristorazione

Dal 4 maggio per le attività di ristorazione sarà possibile effettuare consegne di cibo a domicilio e vendere pietanze da asporto. Un segnale, seppur flebile, che lentamente si sta avvicinando la riapertura anche per queste attività tremendamente colpite dallo stop anti Covid-19.

La nuova direttiva è arrivata con la pubblicazione del DPCM 26 aprile, un nuovo decreto che introduce regole meno stringenti per la quarantena. Siamo lontani dalla normalità, dallo status quo del periodo pre-virus, ma sono stati mossi dei piccoli passi in quella direzione.

In questo periodo molte attività hanno preferito restare chiuse, altre hanno resistito con il delivery (nelle regioni dove era concesso). Adesso il governo ha aperto questa nuova opzione dell’asporto unita all’annuncio che proprio la ristorazione sarà tra gli ultimi settori a riaprire.

Vendita d’asporto, consumo lontano dal locale

L’anticipo di quanto decretato nel DPCM 26 aprile è arrivato dal premier Giuseppe Conte che in una lunga conferenza stampa ne ha esposto i punti chiave. Per i ristoratori da una parte la gioia di poter cominciare a riaprire le cucine e ritrovare un minimo di rapporto con la clientela, dall’altra l’amarezza: saranno tra gli ultimi a riaprire, dal 1° giugno, forse.

L’articolo 1 lettera aa del suddetto decreto, infatti, stabilisce che: “Sono sospese le attività dei servizi di ristorazione […] Resta consentita la ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto, nonché la ristorazione con asporto fermo restando l’obbligo di rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, il divieto di consumare i prodotti all’interno dei locali e il divieto di sostare nelle immediate vicinanze degli stessi”.

Quindi i clienti arriveranno e si metteranno in fila, preleveranno il cibo e se lo poteranno a casa. Bisognerà gestire la coda, eventuali assembramenti, e procedere sempre con la dovuta sicurezza assicurando le distanze. Uno sforzo non semplice con la prospettiva che per occupare una parte dei coperti potrebbe volerci ancora un mese.

Non manca lo scontento che viene espresso in maniera congiunta in un comunicato della FIPE,  Federazione Italiana Pubblici Esercizi: “Uno Stato giusto si misura dalla capacità di prendersi cura delle piccole imprese, perché le grandi imprese quasi sempre hanno strumenti ed organizzazione per fare da sole”. Poi un richiamo ai fondi che tardano ad arrivare: “i nostri dipendenti stanno ancora aspettando la cassa integrazione, il decreto liquidità stenta a decollare e le misure straordinarie preannunciate restano, per il momento, solo buone intenzioni. Forse non è chiaro che così si mettono a rischio migliaia di imprese e centinaia di migliaia di posti di lavoro. Servono risorse e servono subito a fondo perduto, senza ulteriori lungaggini o tentennamenti. Sappiamo solo quanto dovremo stare ancora chiusi mentre non è noto quando le misure di sostegno verranno messe in atto”.

Parole che vengono seguite dalla richiesta di ripartire il 18 maggio, come sarà per altri settori, forti di aver messo a punto un protocollo di sicurezza che però il governo non ha ancora preso in visione.

Il food delivery come piano B

Le consegne a domicilio hanno rappresentato una fonte di sostentamento per i locali chiusi. In tal senso sono interessanti i numeri della stessa FIPE registrati a inizio mese di aprile: il 40% degli intervistati ritiene che ci sia stato un aumento nelle ordinazioni.

Per alcuni quindi il delivery è stata un’ancora di salvezza, ma attenzione: solo il 5,4% si è fatto trovare pronto, il 10,4% si è attivato in tal senso, ben l’85% l’ha ritenuto uno sforzo inutile o fuori dalle proprie possibilità.

Aggiungiamo che alcune regioni hanno aperto al delivery solo ultimamente, pensiamo ad esempio alla Campania nella quale i pizzaioli, dopo la riapertura, sono stati sommersi di ordinazioni.

D’altronde chi ha voluto, e potuto, attivarsi per le consegne ha dovuto implementare protocolli di sicurezza molto più severi. L’associazione dell’industria del food delivery, l’Assodelivery, ne ha diramato una sintesi:

  • utilizzo di prodotti igienizzanti;
  • individuazione di aree destinate al ritiro delle pietanze, da tenere in costante regime di sanificazione;
  • preparazione, ritiro e consegna del cibo da effettuare nel rispetto delle distanze di sicurezza;
  • trasporto con zaini termici e contenitori isotermici Haccp (qui diversi esempi di contenitori per trasporto alimenti a norma di legge);

Oltre a tutto questo c’è poi la figura dei riders, entrati nella mitologia di questa quarantena come tra i pochi che hanno potuto girare per le città. Lavoratori arruolabili solo se in perfetto stato di salute, in totale assenza di sintomi. D’altronde con il nuovo DPCM chiunque registrerà una temperatura superiore ai 37 gradi e mezzo dovrà restare nel proprio domicilio.

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